La storia di Tacoma
Il giocatore veste i panni di Amy Ferrier, responsabile del recupero di Odin, intelligenza artificiale che si trova all’interno di una stazione spaziale sperduta. Mentre i file vengono passati a chi di dovere, Amy non può fare a meno di controllare la scena e le registrazioni dell’equipaggio passato. Qui si nasconderanno indizi ed elementi che faranno capire cosa è accaduto in quella stazione. Amy ha un paio di sensori per parlare con il suo equipaggio ma che sono sostanziali anche per vivere i ricordi dei membri scomparsi. Potrà quindi connettersi all’interfaccia dei diversi utenti e leggere i loro messaggi, rivivere i momenti a bordo e capire progressivamente le loro storie vivendole in prima persona. Amy si ritroverà quindi sola ma con persone realistiche sotto forma di ologramma che la renderanno partecipe dei propri ricordi. Il giocatore non sarà mai annoiato, anche perché molti file sono danneggiati quindi non ci sarà l’esigenza di leggere tutto per andare avanti nella storia ma al contempo stesso è incuriosito dalla brama di sapere cosa è successo tanto da aprire tutti i file leggibili con il fine di creare un quadro quanto più fedele possibile alla realtà.
Cosa funziona e cosa no
Tacoma si rivela quindi uno dei maggiori novel game del genere ma toppa in alcune cose. Il giocatore leggerà diversi file inutili e che non offrono nulla di interessante alla storia. Il risultato è una storia vissuta in terza persona, fatta di dialoghi intimi ma in cui il giocatore non riesce ad avere un controllo a tutti gli effetti. Segue i dialoghi che deve seguire, controlla gli ambienti che deve controllare, il tutto in maniera limitata e più fredda rispetto al precedente titolo della casa.